8.9.04

Vi chiediamo di considerare

Uomini o donne, volontari pacifisti o guardie private, cittadini di paesi "in guerra" o no: in Iraq i rapitori rendono tutti uguali e non c'è impegno sociale, ideologia o posizione politica che metta al sicuro. Ho visto Simona Pari qualche volta in redazione e so che è proprio come la descrivono oggi sul Corriere Romagna. Un po' un Baldoni al femminile: Simona Pari è a Baghdad perché ha un solo desiderio, conoscere tutto, vivere tutto, essere là dove le cose succedono: oggi in Iraq, anni fa a Rimini alla mensa della Caritas, nelle sale d'aspetto della stazione oppure in via Varisco a raccogliere sul taccuino spezzoni di vita altrimenti ignorati. In una intervista ha detto: le storie capitano solo a chi sa raccontarle. E per raccontare queste storie Simona Pari ha lasciato Rimini, è andata in Kosovo, in Albania, in Afghanistan. Fino all'Iraq, un paese che ama e dal quale non riesce a stare lontana. Le hanno anche chiesto: perché lo fai? La sua risposta è una risposta a tutte le domande del mondo: perché sono felice.
E sì, anche a me fa uno strano effetto leggere l'accorato appello di Un ponte per... che chiede la liberazione di Simona e degli altri rapiti ieri in Iraq senza alcuna traccia del tono duro e perentorio che i pacifisti sanno usare invece nei contronti degli Usa e dei loro alleati. Come dice Wittgenstein: A voi non pare strano rivolgersi a sequestratori di donne innocenti, a potenziali sgozzatori, col tono con cui ci si rivolgerebbe a qualcuno che sbadatamente vi ha preso l’ombrello? Voi non vedete una stonatura tra la legittima violenza e intransigenza con cui i movimenti pacifisti si rivolgono all’America e ai suoi alleati, e “vi chiediamo di considerare”?